Grazie all'impegno delle operatrici e degli operatori dell'Inca,  la tutela Inail contro i contagi sul lavoro diventa più aderente alla realtà.  Il Patronato della Cgil si rivolge ai lavoratori  affinché  non rinuncino ai propri diritti. 

di Marco Bocci, Inca Cgil Nazionale

#incavince

Generalmente, molti lavoratori sono portati a ritenere che la prestazione, riconosciuta da un Istituto previdenziale o assicurativo (Inail od Inps), sia quanto effettivamente spetti di diritto, poiché viene richiesta od erogata  da quelli che ritiene essere gli “Enti” istituiti per la tutela contro i danni da lavoro.

In realtà, a volte non avviene così: spesso un lavoratore si vede attivare una prestazione che va sì a tutelare un proprio diritto, ma quest’ultimo non risulta essere quello che invece dovrebbe regolare la situazione di fatto esistente. Pertanto, succede, nell’ambito del danno da lavoro, che dei lavoratori, messi in malattia comune (e quindi sotto la tutela Inps) per infezione derivante da Covid-19, scoprano, soltanto dopo aver contattato il Patronato per le opportune verifiche, di aver diritto a ben altra prestazione derivante dal riconoscimento del contagio come infortunio contratto in occasione di lavoro.

Nella prima fase della pandemia, a dimostrazione di quanto sopra premesso, molte sedi dell’Inca si sono viste contattare da decine e decine di lavoratori che, dopo aver contratto il Covid-19, si erano rivolte al Patronato per chiedere se la prestazione erogata dall’Inps, derivante dalla certificazione di malattia comune, fosse effettivamente quella spettante.

Così ci raccontano diversi operatori dell’Inca: Verso la metà di marzo 2020, all’inizio del lockdown, abbiamo sentito l’esigenza  di poter essere contattati dalla nostra utenza che, per ovvie motivazioni, non poteva più recarsi fisicamente presso i nostri uffici. Pertanto, abbiamo attivato, oltre ai tradizionali canali, un numero di cellulare dedicato, ma anche un utilizzo più efficace dei social network, per diffondere il più possibile le prime informazioni sul Covid-19 e le relative tutele previste dall’ordinamento. Tali canali si sono rivelati, fin da subito, essenziali: attraverso il passaparola, le segnalazioni che venivano dalle varie categorie sindacali della Cgil, i post informativi che pubblicavamo regolarmente sui social, molte persone hanno avuto modo di avere un primo contatto con noi. Così abbiamo potuto verificare le posizioni individuali. Da qui ne è emerso un quadro che, in un certo qual modo, ci ha stupito: in moltissimi casi di infezioni da Covid-19, denunciate all’Inps come malattia comune, abbiamo riscontrato invece le caratteristiche di un contagio contratto in occasione di lavoro: tali persone, infatti, svolgevano mansioni a stretto contatto con il pubblico, e pertanto avevano molte più probabilità di contrarre il virus.

Abbiamo quindi inoltrato le prime segnalazioni all’Inail che, seguendo correttamente le indicazioni delle sue circolari interne, ha convertito i casi di contagio da malattia comune in infortunio lavorativo”.

Preziosa, pertanto, si è rivelata l’assistenza dell’Inca che, ancor oggi, risulta essenziale non solo quando è necessaria una attività di opposizione alle disposizioni di un Ente, ma anche quando un evento deve essere correttamente inquadrato per evitare di perdere le giuste tutele.

Alle persone, per le quali siamo riusciti ad ottenere il riconoscimento del caso come infortunio sul lavoro, stiamo organizzando delle visite medico legali finalizzate a verificare, a distanza di un anno, se soffrono ancora di postumi permanenti, in special modo, quelli afferenti all’apparato respiratorio. Tale verifica sarebbe stata inutile se l’evento fosse rimasto di competenza Inps, in quanto l’Istituto previdenziale, che gestisce i casi di malattia comune, si limita al pagamento della prestazione temporanea durante l’assenza dal lavoro. Una volta, invece, riconosciuto il contagio di competenza dell’Inail, l’assicurato ha addirittura 10 anni di tempo per proporre eventuali aggravamenti, al fine di conseguire un indennizzo in capitale o addirittura una rendita.

Per Silvino Candeloro, del collegio di Presidenza di Inca, l’attività delle operatrici e operatori del Patronato della Cgil, “è stata essenziale soprattutto nella fase iniziale della pandemia, quando un numero altissimo di persone non era neppure a conoscenza del fatto che l’infezione da Covid-19 si potesse qualificare come infortunio sul lavoro, e men che meno che atti interni dell’Inail, a partire da marzo 2020, avevano addirittura introdotto una sorta di ‘presunzione legale’ (del nesso causale) per tutte quelle attività lavorative, che comportavano un rischio maggiore di contagio professionale, derivante dall’esposizione al pubblico (personale sanitario sicuramente, ma anche banconisti, addetti ai front office, ecc.)”.

“Per tali mansioni, infatti – chiarisce Candeloro -, l’infezione da Covid-19 doveva essere presuntivamente ricollegata al tipo di attività svolta, dando quindi la prevalenza ai fattori lavorativi rispetto a quelli extralavorativi”. “In ogni caso – conclude -, anche per quei lavoratori, che non sono risultati coperti da tale ‘presunzione legale’, l’Inca ha comunque dato un contributo spesso essenziale al fine del riconoscimento della tutela, andando a dimostrare, anche con l’apporto dei suoi consulenti medico-legali, l’origine occupazionale dell’infezione da Covid-19”.

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