Nel mese di aprile due interessanti sentenze (una della Corte di Cassazione e una di un Tar), pubblicate a pochi giorni l’una dall’altra, hanno confermato quanto ancora sia vivo il dibattito giurisprudenziale relativamente alla tutela del cosiddetto “infortunio in itinere”.

L’infortunio in itinere, previsto dall’art. 12 del D.Lgs 38/2000, è l’infortunio occorso al lavoratore durante il tragitto da casa a lavoro (e viceversa) o da un posto di lavoro ad un altro: tale tutela è però garantita solo in presenza di determinate condizioni  previste dalla normativa, condizioni su cui poi si è incardinata una giurisprudenza più che ventennale che ha notevolmente ampliato la casistica di riferimento.

Le sentenze di seguito riportate, nel far emergere la linea evolutiva dell'orientamento giurisprudenziale, mostrano il perimetro entro cui si stanno muovendo i magistrati. 

Ordinanza 9375/2021 Corte Cassazione (pubblicata il 08/04/2021) "Guida con patente non idonea"

Il caso riguardava un lavoratore che, coinvolto in un incidente stradale mentre si recava al posto di lavoro con il proprio motociclo, aveva chiesto il riconoscimento dell’infortunio in itinere all’Inail con la conseguente tutela prevista dalla normativa. In fase amministrativa però, e nei successivi giudizi di merito, sia l’Inail che i Tribunali aditi avevano respinto il riconoscimento del caso, contestando la circostanza che il lavoratore fosse sì provvisto di una patente di guida (presupposto essenziale affinchè si realizzi la tutela) ma che tale patente lo abilitasse alla guida di motocicli di cilindrata inferiore rispetto a quello che l’infortunato guidava al momento del sinistro.

In pratica, i giudici di merito avevano effettuato una parificazione tra la condizione di guidare senza titolo di guida (guida senza patente) e quella della guida con un titolo diverso (guida con patente per motocicli di 125 cc, invece che di 250 cc). Di diverso avviso la difesa del lavoratore, per la quale tale fattispecie non configurava alcun esonero dell’assicurazione contro gli infortuni: a ben vedere, in effetti, l’art. 2 D.P.R. 1124/1965, così come modificato dall’art. 12 D.Lgs 38/2000, stabilisce che: “…l’assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida”. Il lavoratore, pertanto, contestava la circostanza di non essere sprovvisto del titolo di guida, ma di avere semplicemente un titolo di guida diverso.

Sul punto, è stata chiamata ad esprimersi la Corte di Cassazione che, anche alla luce di pronunce conformi e consolidate, ha ritenuto di dover escludere la tutela, e questo proprio alla luce dell’articolo di legge citato dal lavoratore stesso. Per la Corte, infatti, con la dicitura “sprovvisto della prescritta abilitazione di guida” il legislatore voleva indicare non solo coloro che guidano senza aver conseguito alcun tipo di patente, ma anche chi ha una patente di guida di categoria diversa rispetto al mezzo con cui è avvenuto l’infortunio: in questi casi, infatti, l’infortunato è sprovvisto della “prescritta abilitazione” alla guida. Nulla da fare pertanto per il lavoratore infortunato, che con queste motivazioni si è visto respingere il riconoscimento del caso a lui occorso come infortunio in itinere.

Sentenza n. 4258/2021 Tar Lazio (pubblicata il 12/04/2021) "Uso necessitato del mezzo privato" 

In questo caso, la causa riguardava un militare che, per raggiungere la sede di servizio, aveva optato per l’utilizzo del mezzo proprio, piuttosto che del mezzo pubblico: e in effetti, da una verifica della tempistica, risultava che qualora avesse utilizzato la propria automobile avrebbe impiegato 4 ore per raggiungere il lavoro, mentre con l’utilizzo del mezzo pubblico il tempo si sarebbe allungato a 7 ore con il treno e addirittura a 11 con l’autobus.

In premessa, giova rilevare come il caso riguardi un lavoratore del settore pubblico (l’istituto applicabile è pertanto quello della causa di servizio e dell’equo indennizzo) ma i principi che regolano la fattispecie non si discostano assolutamente da quelli generali; prova ne sia che il Tar cita delle sentenze di Cassazione relative ad infortuni in itinere nel settore privato.

Detto questo, è nota la circostanza che, per il riconoscimento di un caso come infortunio in itinere, è necessario  dimostrare la necessità di utilizzare il mezzo privato, piuttosto che quello pubblico: l’utilizzo del mezzo privato comporta, infatti, una esposizione al rischio di incidenti stradali molto più rilevante rispetto all’utilizzo del mezzo pubblico, e pertanto gli Istituti deputati all’assicurazione non sono tenuti a “sobbarcarsi” di un rischio di cui il lavoratore autonomamente si fa carico.  

La giurisprudenza di questi ultimi 20 anni ha però notevolmente ampliato il concetto di “uso necessitato del mezzo privato” individuando tale “necessità” nell’adempimento degli obblighi familiari, nella garanzia di tornare alla propria abitazione senza rischi derivanti da una attesa alla fermata di un autobus, nella sicurezza di avere un mezzo che permetta di soccorrere (in tempi brevi) un eventuale parente invalido che si trovasse in difficoltà nella propria abitazione.

In questo secondo caso di infortunio, il giudicante ha individuato l’uso necessitato del mezzo privato, e pertanto ha riconosciuto al lavoratore il diritto  alla tutela assicurativa, originariamente negata; dice la pronuncia: l’utilizzo della propria autovettura, permettendo un risparmio di tempo assolutamente rilevante rispetto all’utilizzo dei mezzi pubblici, consentiva al lavoratore non solo di arrivare più riposato alla sede di servizio, ma anche di avere più tempo per adempiere ai suoi doveri familiari.  

di Marco Bocci, Area tutela danni da lavoro Inca nazionale