Anche gli operatori sanitari, che hanno deciso di non vaccinarsi contro il Covid, hanno diritto alla tutela antinfortunio qualora dovessero contagiarsi in occasione di lavoro.

Lo ha chiarito l'Inail, in una lettera inviata alla Direzione regionale della Liguria, a seguito di una richiesta di chiarimento, avanzata dall'Ospedale San Martino di Genova, sul caso dei quindici infermieri contagiati dopo aver scelto di non aderire alla campagna vaccinale. Giunge così a conclusione la querelle, creatasi nei giorni precedenti, sull’opportunità di assimilare all’infortunio il contagio avvenuto in azienda, soprattutto in relazione al comportamento volontario rappresentato dal rifiuto del vaccino. La questione sollevata dalla Direzione sanitaria era incentrata, principalmente, sulle eventuali responsabilità del datore di lavoro, sia in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, sia nei confronti del personale infermieristico in caso di richieste di risarcimento per danni civili. 

L’INAIL, quindi, deve comunque rispettare e mettere in atto quanto disposto dalla legge. Non è dunque nella disponibilità delle parti (datore di lavoro – lavoratore) e neanche dell’Inail stesso, percorrere un indirizzo diverso da quello previsto dalle norme. L’assicurazione comprende, come da disposizioni del Testo Unico 1124/65: “…tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un'inabilità temporanea assoluta, che comporti l'astensione dal lavoro per più di tre giorni” escludendo, di fatto, la tutela solo qualora il lavoratore abbia simulato un infortunio o abbia dolosamente aggravato le conseguenze di esso.

Il non vaccinarsi da parte del personale infermieristico, anche qualora fosse considerata come una condotta colposa, sottolinea nella nota l’Istituto, viene confermato da anni, grazie alla giurisprudenza consolidata, secondo la quale il comportamento colposo del lavoratore, tra cui rientra la violazione dell’obbligo di utilizzare i dispositivi di protezione individuale, non comporta di per sé l’esclusione della tutela prevista dall’assicurazione Inail; ciò può essere invece penalizzante sia sul piano disciplinare (sanzioni) sia risarcitorio, riducendo o non ammettendo la responsabilità del datore di lavoro, il comportamento colposo del lavoratore che, per esempio, non assolve all’obbligo di utilizzare i dispositivi di protezione individuale. Infatti, il datore di lavoro, se ha adottato tutti i protocolli corretti, non è responsabile dell’eventuale contagio di un lavoratore che non abbia utilizzato le previste misure di sicurezza. Pertanto, la tutela dell’infortunio è comunque dovuta anche se c’è colpa del lavoratore nella causazione dell’infortunio.

Nel caso di rifiuto del vaccino, inoltre, non può neppure essere applicato il concetto di “rischio elettivo”, dal momento che “il rischio di contagio non è certamente voluto dal lavoratore e la tutela assicurativa opera se e in quanto il contagio sia riconducibile all’occasione di lavoro”. Infatti, secondo lorientamento giurisprudenziale, il rischio elettivo è quello che, estraneo e non attinente alla attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente alla attività lavorativa, interrompendo ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento.

Infine, dal punto di vista legislativo, ad oggi, non esiste una obbligatorietà della vaccinazione né per la popolazione in generale né nel D.lgs. 81/2008, e neppure nei protocolli anti COVID sulla salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, concordati tra parti sociali e Governo.