Grazie ad un ricorso legale promosso dall’Inca, il Tribunale  di Venezia riconosce il diritto di un detenuto- lavoratore a percepire l’indennità di disoccupazione.   

La disciplina del lavoro svolto nel carcere, anche in favore dell’Amministrazione penitenziaria, deve essere equiparata a quella riconosciuta al lavoratore in libertà. E’ quanto ha stabilito il Giudice del Lavoro  del Tribunale di Venezia, con una sentenza emessa il 15 dicembre, accogliendo il ricorso promosso  dagli avvocati Marta Capuzzo e Giancarlo Moro, legali di Inca, contro l’Inps, che aveva negato l’indennità NASpI ad un detenuto, impegnato nell’assistenza ad un disabile durante il periodo di detenzione fino alla scarcerazione.

Per il Tribunale, dunque, è infondata la ragione adottata dall’Inps, secondo cui “ai soggetti detenuti in Istituti penitenziari, che svolgano attività lavorativa retribuita all’interno della struttura e alle dipendenze della stessa, non può essere riconosciuta la prestazione di disoccupazione in occasione dei periodi di inattività in cui essi vengano a trovarsi”.   

Rigettando le argomentazioni dell’Istituto previdenziale pubblico, la sentenza afferma la natura discriminatoria di tale comportamento, poiché, si legge nel dispositivo: “contrarie alle finalità del lavoro penitenziario e alla tendenziale equiparabilità di tale prestazione lavorativa al cosiddetto lavoro libero, più volte ribadito dalla Corte Costituzionale”.

Pertanto, ribadisce il tribunale di Venezia, la cessazione del rapporto di lavoro penitenziario per scarcerazione, come nel  caso esaminato,  comporta che il detenuto-lavoratore si trovi nella condizione di disoccupazione involontaria, presupposto per il riconoscimento della relativa indennità NASpI.  

La negazione di tale diritto, continua la sentenza, “confliggerebbe con il principio di uguaglianza con il principio di cui l’articolo 3 della Costituzione”, in quanto i “detenuti alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria sarebbero gli unici, nell’ordinamento, a versare la contribuzione atta a finanziare la NASpI senza potersene avvantaggiare”.

Per Inca Cgil, spiega Giuseppe Colletti, dell’Area Previdenza, “si tratta di una sentenza molto importante poiché oltre a ribadire il principio di uguaglianza nei trattamenti previdenziali, anche dei cittadini, privati momentaneamente della libertà,  evidenzia la necessità di non vanificare ogni sforzo affinché si affermi la funzione rieducativa della pena e la prospettiva di un possibile loro reinserimento nella società libera”.  

Il testo della sentenza