L’esposizione ai rischi per la salute dei lavoratori e delle lavoratrici della Polizia locale: discopatie e stress, le patologie più diffuse. Presentata ieri su Facebook  la ricerca realizzata dalla Fondazione di Vittorio, promossa da Inca e Funzione Pubblica Cgil.

Elevata responsabilità, ritmi intensi di lavoro, con un sistema di turnazione su cicli di 24 ore, ricorso diffuso agli straordinari e mancati recuperi, sono gli elementi caratterizzanti del lavoro degli addetti della Polizia locale di Roma, che favoriscono l’insorgere di malattie muscolo-scheletriche e dell’apparato respiratorio di origine professionale. E’ quanto emerge da una ricerca, presentata su facebook ieri mattina, promossa da Inca e Funzione Pubblica Cgil e realizzata dai ricercatori della Fondazione Di Vittorio con interviste, attraverso un questionario, a oltre  400 operatori del settore.

Gli ambiti di intervento di questa categoria di lavoratori e lavoratrici sono numerosi e diversificati: si occupano di controllare il rispetto delle norme urbanistiche e di viabilità, di quelle che regolamentano le attività produttive, come quello commerciale e nell’edilizia, fino ad arrivare a compiti di soccorso per calamità naturali e di contrasto ai fenomeni di degrado urbano e sociale, con un servizio di tutela ai soggetti più deboli.

Il report sottolinea come il lavoro si caratterizza, quindi, per alti carichi in termini di responsabilità (52,3%) e compiti complessi dal punto di vista cognitivo (spesso o sempre, 71,8%) che sono in parte propri di questa professione ma che si attuano in contesti difficili dal punto di vista delle condizioni di lavoro, con ritmi di lavoro elevati (spesso o sempre, 62,3%), scadenze rigide e strette (57,9%), difficoltà di conciliazione tra lavoro e vita (51,5%; in particolare per le lavoratrici che operano all’esterno, 61%).

Considerando le biografie professionali, il servizio più diffuso nell’arco della carriera lavorativa di ciascun lavoratore è quello all'esterno, sia a piedi che con automezzo, che ha complessivamente coinvolto il 51,7% del campione per almeno due anni dell’attività: il 58% dichiara di lavorare all’aperto, mentre il 42% svolge le proprie mansioni al chiuso.

A fronte di un orario di lavoro medio di 36,19 ore settimanali, è comunque diffuso il ricorso a ore aggiuntive di lavoro (58,4%), su regimi orari articolati in 24 ore, fortemente destrutturati, con turni nei weekend che coinvolgono l’84,5% degli uomini e il 76,2% delle donne intervistate; richieste di reperibilità che interessano la gran parte del campione (82% e 58,3%), anche di notte (89% e 42%). Più della metà del campione afferma che il riposo per il recupero psicofisico di 11 ore, previsto dal contratto, non è rispettato (56,2%).

Tra le cause di queste condizioni difficili, gli intervistati indicano soprattutto: la carenza di personale (94,7%) e l’inadeguatezza degli strumenti (96%). Ulteriori elementi critici emergono rispetto alle dotazioni (con la divisa giudicata scomoda dal 40% di chi la indossa) e ai mezzi di trasporto, la cui manutenzione è giudicata inadeguata (57,5%) o non effettuata regolarmente (71%); non ultimo, la mancata operazione di sanificazione dei mezzi, non effettuata nel 56,7% dei casi (le interviste sono state raccolte prima dell'emergenza sanitaria dell’epidemia di Covid-19).

Complessivamente, per il 75,8% del campione il lavoro ha avuto un impatto negativo sulla salute e le cause sono di tipo ergonomico, psico-sociale e anche ambientale (per l’inquinamento). I problemi muscolo-scheletrici più diffusi sono alla schiena (per circa due rispondenti su tre con problemi di salute), con diagnosi di lombalgia acuta e di ernia del disco anche tra i più giovani e una loro occorrenza elevata tra le patologie percepite alla fine del turno di lavoro: alla schiena (72,8%), spalle (40,5%) e collo (39,7%).

Le patologie muscolo-scheletriche sono tra le più diffuse e quelle che sembrano più persistenti e destinate a confermarsi anche nei momenti di non lavoro. Seguono le malattie che investono l’apparato respiratorio (naso che cola, senso di naso chiuso, tosse, per più della metà dei rispondenti); problemi alla vista tra quanti svolgono turni aggiuntivi, soprattutto prurito oculare (27,2%) e congiuntivite (14,2%). Di fronte a questo scenario, è opportuno sottolineare che soltanto un intervistato su quattro (il 25,1%) ha dichiarato di aver parlato delle manifestazioni dolorose persistenti con il medico del lavoro dell’ente, ma solo il 7% ha denunciato una malattia professionale.

A testimonianza di quanto sia difficile far emergere il fenomeno degli infortuni sul lavoro, vale la pena sottolineare che il 39,3% del campione ha ammesso di averne subito uno durante la carriera professionale nel corpo della polizia locale, ma soltanto nel 68,4% dei casi si è tradotta in una vera e propria denuncia.

Eppure, il 38,2% afferma di aver subito violenza verbale (197 casi), il 4,1% anche fisica; di operare in condizioni di lavoro intense dal punto di vista organizzativo ma anche cognitivo, in contesti caratterizzati da intense relazioni con il pubblico e la frequente necessità di affrontare imprevisti ed emergenze. Uno scenario, quindi, che espone gli addetti della polizia locale a numerosi fattori di rischio, quali lo stress lavoro correlato, che comportano l’insorgere di problemi alla salute psicofisica, in particolare, secondo i rispondenti, per la riduzione dell’energia (37,7%), disturbi del sonno (35,4%) e tensione durante lo svolgimento del lavoro (29,1%).

“Questa indagine – spiega Silvino Candeloro, del collegio di Presidenza Inca – è una preziosa occasione per ribadire l’importanza di indagare sulle reali condizioni di lavoro in tutti i settori, che influiscono pesantemente sullo stato di salute dei lavoratori e delle lavoratrici, pregiudicandone le capacità professionali individuali. Ed è perciò che l’impegno del Patronato, insieme al sindacato di categoria, continuerà in questa direzione per garantire tutela e rappresentanza individuale e collettiva”.