La Corte di Appello di Venezia, con la sentenza n. 78/2023 ottenuta dai legali di Inca Cgil, ha rigettato le conclusioni dei CTU, nominati nel primo e secondo grado di giudizio, che disattendevano il principio della presunzione legale delle malattie professionali tabellate, arrivando così al riconoscimento della natura professionale di una grave forma di tumore riconducibile all’amianto, cui era stato esposto per lungo tempo un lavoratore.

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di Marco Bocci, Inca Cgil Nazionale

Nell’ambito del riconoscimento delle tecnopatie di origine professionale, molto spesso il lavoratore si trova nell’evidente difficoltà di provare il nesso tra la mansione da lui svolta abitualmente e la patologia contratta; e questo anche quando l’ordinamento prevede dei sistemi di tutela che, basandosi su delle presunzioni legali, dovrebbero garantire un più facile riconoscimento delle cosiddette malattie professionali tabellate.

In questa sede vogliamo dare, pertanto, il giusto risalto ad una recentissima sentenza emessa dalla Corte di Appello di Venezia, per un caso promosso (e non riconosciuto) in via amministrativa dall’Inca; perso in primo grado, ma finalmente vinto in fase di gravame, grazie ai legali del Patronato della Cgil, gli avvocati Giancarlo Moro e Marta Capuzzo. Tale sentenza ha, infatti, permesso di far riconoscere l’origine professionale di una importante neoplasia ad un lavoratore cui il giudice di primo grado non aveva concesso la “presunzione legale del rischio di origine”.

Nel dettaglio, la vicenda riguarda un lavoratore che per quasi 25 anni aveva lavorato in una azienda impegnata nella produzione di imballaggi e contenitori, e che, nello svolgimento delle sue mansioni, era stato esposto all’amianto. Secondo il ricorrente, a seguito di tale esposizione era subentrata una patologia molto grave, un adenocarcinoma, in seguito asportato, ma che ha lasciato nel lavoratore una importante lesione della propria integrità psicofisica.

Denunciato il caso all’Inail, tramite il Patronato Inca di Venezia, veniva respinto il riconoscimento della malattia professionale, costringendo il lavoratore ad adire le vie legali. Purtroppo, anche la fase iniziale della vicenda giudiziaria non ha avuto un esito positivo. Il Consulente Tecnico d’Ufficio, infatti, contestava che il lavoratore avesse avuto una esposizione all’amianto quantitativamente apprezzabile; tanto che, per ottenere il proprio diritto conseguente ad una patologia così importante, il lavoratore ha dovuto ricorrere in appello.

E sarebbe andato male anche questo secondo grado di giudizio, se non fosse stato per un giudice che ha respinto le conclusioni cui era giunto il giudice del Tribunale, sulla base delle valutazioni del Consulente tecnico (anche scientificamente molto elaborate), da lui stesso nominato, il quale non riconosceva il nesso causale basandosi su mere valutazioni quantitative (25/ml/anni) dell’esposizione all’amianto da parte del lavoratore.

Il giudice d’Appello, invece, ha voluto avere una visione più aderente al dettato normativo, affrontando correttamente (a nostro avviso) il quadro degli oneri probatori nei casi di malattia professionale tabellata.

Vogliamo pertanto mettere in luce alcuni passaggi di tale sentenza, riportandone direttamente alcuni stralci.

In riferimento alla famosa dose cumulativa di asbesto dei 25/ml/anni riportata dal CTU (che non sarebbe stata raggiunta, escludendo così l’origine professionale del carcinoma) il giudicante afferma che:”…tale valore limite non è considerato dalla giurisprudenza di legittimità avendo enunciato il principio secondo il quale in caso di malattia tabellata la prova dell’eziologia professionale delle malattie contratte nell’esercizio delle lavorazioni morbigene si raggiunge applicando un criterio di presunzione legale con inversione dell’onere della prova che ricade sull’Ente tenuto all’indennizzo….peraltro, laddove la patologia ad eziologia multifattoriale sia di tipo tumorale, come nel caso di specie “il fattore in relazione all’esposizione all’amianto è stato previsto in termini ampi, senza indicazione di soglie quantitative, qualitative e temporali (Cass. 37647/2021)””.

Nessun criterio meramente quantitativo deve guidare il CTU nella valutazione di una esposizione all’amianto, in quanto:  “E’… irrilevante una valutazione quantitativa dell’esposizione all’amianto per la determinazione del rischio di contrarre la malattia tumorale tabellata, a fronte della prova di una effettiva esposizione in ambito lavorativo, unicamente limitata in termini quantitativi, anche mediante provata dalla documentazione, prodotta già dal giudice di primo grado ritenuta idonea ad accertare che “il ricorrente nell’ambito dell’attività lavorativa veniva esposto all’inalazione di fibre di amianto a livelli superiori alle prescrizioni legali””

Sentenza coraggiosa, quindi, come tutte le sentenze in cui l’organo giudicante, confutando una valutazione del consulente tecnico, decide di intraprendere una strada sicuramente più difficoltosa per giustificare il dispositivo, quando e qualora ritenga che debbano essere attuati principi di diritto disattesi dalla metodologia adottata dai periti.

“Come Inca Cgil – commenta Sara Palazzoli, del Collegio di Presidenza dell’Inca- ci scontriamo quotidianamente con quello che per noi è un problema fondamentale, il mancato riconoscimento delle malattie professionali tabellate”. “Tali patologie – chiarisce-, seppur garantite da una presunzione imposta dalla legge relativa al rischio di origine, sono spesso rigettate per i più disparati motivi; il problema diventa ancora più significativo nei casi delle neoplasie, quando la gravità della patologia dovrebbe indurre consulenti e giudici a ricercare un aderente adeguamento al dettato normativo, invece che ricercare parametri quantitativi, a volte anche difficilmente riscontrabili a distanza di anni”.

“E’ per questo che, come Dipartimento Tutela del Danno alla Persona - spiega ancora Palazzoli -, abbiamo recentemente organizzato, con il patrocinio della Università di Perugia, un importante convegno di legali, medici legali e operatori del patronato, per analizzare i problemi di natura giuridica e scientifica che vengono riscontrati nel riconoscimento delle malattie professionali di origine neoplastica; fenomeno che riteniamo ampiamente sottostimato rispetto alla realtà e che, dal nostro punto di vista, merita una forte attenzione per dare le giuste risposte a chi si ammala lavorando”. A questo evento, di formazione ed informazione - promette Palazzoli - ne faremo seguire altri, al fine di non abbassare la guardia su un argomento così importante per la tutela dei lavoratori. Vogliamo, infatti, ribadire l’assoluta primarietà del bene salute nei posti di lavoro. E questo soprattutto in una fase in cui, in un modo del lavoro in continua evoluzione, non possiamo permettere,  come patronato della Cgil, che il mutato sistema produttivo vada a compromettere l’integrità psicofisica dei lavoratori”.  

Gli atti di questo Convegno, svoltosi a Perugia il 11 e 12 maggio di quest’anno, saranno a breve pubblicati in una edizione del “Notiziario Inca” Online, e pertanto saranno disponibili in rete per chi fosse interessato.

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