Grazie all'Inca, sì del giudice all’assunzione di un familiare come badante.  Una donna ottiene dall’Inps l’assistenza domiciliare per il figlio gravemente disabile, ma l’Istituto previdenziale pubblico, con decreto ingiuntivo, le chiede la restituzione di oltre 23 mila euro, pari all’intero ammontare delle cifre corrisposte in due anni. Richiesta per fortuna annullata dal Tribunale di Vicenza, con la sentenza n. 225/2022 del 27 maggio scorso, che ha accolto il ricorso patrocinato dall’avvocato Marta Capuzzo, consulente legale di Inca Cgil, condannando l’Inps anche al rimborso delle spese processuali.

 Se non fosse per la sensibilità che si deve a chi vive il dramma di un figlio gravemente malato, la storia sottoposta a giudizio meriterebbe di essere presto archiviata come un semplice errore di interpretazione delle normative vigenti; ma le cose cambiano quando si riconosce e poi si nega inspiegabilmente il diritto ai sussidi ad una madre pensionata che ha chiesto legittimamente di poter accedere al Programma Home Care Premium, in favore delle persone non autosufficienti iscritte alla Gestione Unitaria delle Prestazioni Creditizie e sociali e/o loro familiari,

Le regole per accedervi sono messe, di volta in volta, nero su bianco nei bandi pubblicati dall’Inps; tra queste, è previsto il rimborso della spesa per l’assunzione di un’assistente familiare, incaricata di provvedere alle cure della persona disabile, che può essere anche interna al nucleo, previo la richiesta e l’ottenimento dell’autorizzazione da parte dell’Inps.

In virtù di questa regola, per due anni (2017 e 2019), la donna, espletate tutte le procedure, assume con regolare contratto di lavoro sua figlia (nonché sorella del disabile) come badante ma, dopo due anni, l’Inps ci ripensa e le invia una ingiunzione di pagamento per l’intero ammontare delle somme percepite, perché, a suo dire la figlia è “soggetto tenuto agli alimenti e quindi espressamente esclusa dal bando”. 

L’errore interpretativo, in cui è incorso l’Inps, è di ritenere tutti i familiari genericamente intesi come soggetti tenuti al mantenimento della persona non autosufficiente e dunque esclusi dai benefici di legge, a prescindere da chi concretamente svolge il ruolo di care giver. Un orientamento bocciato dal giudice che ha ricordato come la legislatura in merito, proprio per assicurare un’ampia gamma di protezione del disabile, prevede una lista prioritaria di familiari che subentrano tra loro quando vengono a mancare: in primis madre e padre e solo in assenza di questi vengono chiamati in causa gli affini fino al terzo grado. Nel caso di specie poiché la madre risultava il soggetto tenuto al mantenimento del figlio disabile, era ed è legittimo il contratto di lavoro stipulato con la figlia, nonché sorella dell’avente diritto.